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dal 26 al 30 aprile 2010
VII Congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi
Sembianti e sinthomo
VII Congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi
 
Dal sapere alla lathouse
Armand Zaloszyc
 

Un dialogo di Platone, un’interpretazione di un versetto biblico risalente al Medioevo, al giorno d’oggi li visitiamo come pezzi da museo o possono essere per noi di viva attualità? Se è possibile far valere una domanda come questa non è subito evidente che essa ci è posta con urgenza per un testo come quello di Lacan? Siamo così portati a chiederci: a quali condizioni un testo rimane vivo e attuale? Rispondo rapidamente: alla doppia condizione d’essere letto (studiato) e di passare in una pratica che abbia un’incidenza sul numero (che ne faccia una "forza materiale"). Ma si vede facilmente come queste due condizioni ne suppongano una terza che dipende dalla pratica stessa del testo. (Non è forse, per esempio, la ragione per cui Lacan, per tutto un periodo, aveva preso come parola d’ordine ciò che ha chiamato ritorno a Freud, che era un ritorno al testo di Freud?) Ora non mi interesso che a quest’ultima condizione, ovvero alle modalità della sua attualizzazione.

Leggo nel capitolo 13 del Seminario D’un Autre à l’autre (pagina 209, seduta del 5 marzo 1969): "Si è, là come altrove, un po’ di fretta. La fretta ha la sua funzione, l’ho già enunciato, in logica. L’ho già enunciato solo per mostrare le trappole mentali, mi spingerei fino a chiamarle così, nelle quali precipita." Il caso vuole che abbia visto in questi ultimi giorni due notazioni analoghe di cui mi ritorna subito l’eco.

Nella sua Lezione inaugurale al Collège de France, Anne Cheng "in opposizione all’urgenza e all’immediatezza dell’informazione" caratteristiche del contesto globalizzato nel quale siamo al giorno d’oggi trascinati, si erge a "difensore, se non della lentezza, perlomeno del tempo che serve alla comprensione, alla riflessione e alla maturazione". Ho letto altrove che un’interpretazione della colpa di Adamo la attribuisce all’impazienza: se solamente avesse saputo attendere, avrebbe comunque avuto il diritto di mangiare dall’albero della conoscenza. R. Joseph Gikatila, cabalista spagnolo che ha vissuto e studiato a cavallo del tredicesimo e quattordicesimo secolo, ci dice che in effetti si trattava di un albero giovane del quale non era permesso (secondo la legge) consumare i frutti per i primi tre anni.

Il tempo che ci vuole occupa una parte importante anche nel mito platonico della Caverna: non ci viene forse descritta, all’uscita da essa, un’ascensione lenta e difficile (che corrisponde bene a ciò che Pierre Hadot ci ha insegnato a cogliere come "esercizio spirituale") e non l’avvento di un’informazione istantanea (che corrisponderebbe piuttosto allo spettacolo che ci offre la persistenza e l’arroganza della doxa)?

Ciascuna di queste notazioni concerne il sapere e il desiderio di sapere, e ciascuna ci presenta la tentazione del corto circuito che va verso la "trappola mentale". Quest’ultima, a quanto pare, mette quindi in funzione principalmente la soddisfazione ottenuta rapidamente. Come caratterizzarla?

Nella stessa seduta del Seminario D’un Autre à l’autre, possiamo leggere una a fianco all’altra due definizioni del reale che non stanno insieme facilmente (pagina 212): "Il godimento è qui un assoluto, è il reale, e così come l’ho definito ovvero ciò che torna sempre allo stesso posto" - questi sono due punti distinti: l’assoluto, e ciò che torna allo stesso posto. Il ritorno dello Stesso è un assoluto, ma quest’assoluto, proprio perchè è un assoluto, non si dissolve in un posto (in effetti, dal momento che è sempre relativo a un sistema di posti, un posto è contraddittorio con un assoluto).

La formulazione di Lacan presenta quindi una difficoltà. Questa difficoltà è vicina, d’altronde, alla difficoltà che comporta opporre e congiungere sembiante e sinthomo. Ecco un’opposizione nuova e illuminante, un’indicazione che vi orienta con generosità. Ma, una volta enunciata (una volta: questa volta singolare che ha costituito un evento), una volta che si è impadronita di noi diventando così una forza materiale, se noi ne riprendiamo la formula, non dimentichiamoci nella fretta la parte d’opacità che riceve dal proprio reale, pena il precipitarci in una trappola mentale come quelle dalle quali Lacan ci mette in guardia: non facciamone una lathouse (con questo termine inventato da Lacan rispondo alla domanda posta alla fine del paragrafo precedente).

 
Traduzione: Massimiliano Rebeggiani
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